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Alessandro Chiesi: «Volete crescere? Distinguetevi, siate aperti e investite nell’innovazione»

Distinguetevi. È il consiglio di Alessandro Chiesi, dallo scorso luglio presidente della Chiesi Farmaceutici. L’azienda è fra i Champions dell’ultima edizione del rapporto ItalyPost per L’Economia del Corriere della Sera, che raduna le imprese italiane dal consolidato fra i 500 milioni e i cinque miliardi con crescita costante, presentata venerdì 20 ottobre. In sette anni (2015-2022) la BCorp di Parma ha avuto una crescita annua dell’8,7% dei ricavi, a 2,75 miliardi nel 2022 (+13,61% dal 2021). Il margine operativo lordo medio è del 33,6% nel triennio 2019-2022 e ha toccato l’anno scorso 826,7 milioni. L’utile 2022 è di 456,2 milioni (413,6 l’anno prima) e la cassa vale un miliardo. Con oltre 6 mila 500 dipendenti, Chiesi vuole ora rafforzarsi con l’innovazione, l’acquisizione di farmaci o aziende, l’espansione negli Stati Uniti dove già ha un presidio tramite la filiale Chiesi Us e la business unit Global rare desease guidata da Giacomo Chiesi, cugino di Alessandro, oltre a un fondo di venture capital che fa capo alla famiglia.

Mentre prosegue l’attenzione al passaggio generazionale. Se Alessandro ha sostituito il padre Alberto alla presidenza dell’azienda, e la cugina Maria Paola è diventata vicepresidente al posto del padre Paolo, sono 12 i nipoti da preparare per la guida futura dell’impresa, che aderisce all’Aidaf, l’associazione italiana delle aziende familiari (Alberto e Paolo sono rimasti presidenti onorari).

Com’è andato il 2023?

«Contiamo di chiudere con ricavi a 3 miliardi, ci aspettiamo margini stabili. Veniamo da un periodo positivo per l’azienda, l’abbiamo usato per prepararci al futuro. Da qui la nuova leadership manageriale accanto alla transizione generazionale. Abbiamo un nuovo ceo da aprile, Giuseppe Accogli. Ci siamo mossi insieme per coordinare i diversi passaggi».

Come vede la Chiesi fra dieci anni?

«Potremmo anche raddoppiare arrivando a 5-6 miliardi di ricavi. C’è l’opportunità di espandersi negli Usa: oggi per noi non vanno oltre il mezzo miliardo, devono almeno raddoppiare. Poi i nuovi mercati come la Cina, con tutte le sfide che comporta. Vogliamo completare un portafoglio che ci vede forti nei respiratori, ben posizionati sulle malattie rare ma ancora in consolidamento nello specialty care».

Che cosa c’è dietro il successo?
«Bisogna distinguersi, offrire qualcosa di unico per definire un percorso di crescita. E poi investire, essere aperti: ai manager, ma anche a ogni diversità. Siamo in una fase di cambiamento del settore, sia per tecnologia sia per l’offerta di servizi. L’obiettivo è lavorare insieme, con il ceo e i manager, per guidare l’azienda verso un nuovo sviluppo, che non sarà basato sugli stessi fattori di successo del passato. Punteremo sull’innovazione e sulla sostenibilità».

Che significa?
«Essere molto aperti. Ad esempio, abbiamo un bellissimo centro di ricerca e sviluppo, in cui abbiamo inserito competenze. Oggi dobbiamo aggiungere la capacità di collaborare ovunque ci sia l’innovazione. Se non si cambia si diventa autoreferenziali».

Patti con le altre aziende, quindi?
«Sì. Lavoriamo insieme per l’innovazione di prodotto, soprattutto in fase iniziale, dove l’accademia collabora con l’industria. Succede più negli Usa che in Italia. Conta unirsi, essere conosciuti, avere network. L’alleanza con Moderna sui farmaci per l’ipertensione arteriosa polmonare è un esempio».

Qual è il ruolo della famiglia oggi?
«Importante, è una base di valori. Ma bisogna sempre chiedersi: perché? Perché siamo quest’azienda? Perché facciamo questo mestiere? Vale per tutte le imprese: è la capacità di adattarsi, essere proattivi, attivare meccanismi di cambiamento interni».

 

Consigli per le aziende più piccole?

«Dobbiamo tutti diventare più agili e intraprendenti. Delegare di più, far leva sulle competenze. Ma il motore resta l’innovazione. Significa fare gli investimenti che servono. Noi poi abbiamo puntato sulla diversity: generi, età, competenze, culture, nazionalità».

Dove prendere le risorse?
«Oggi è molto costoso indebitarsi, ma può essere interessante trovare investitori che possano accompagnare l’imprenditore per un tratto del percorso. I fondi che puntano a un alto ritorno possono non essere sempre la soluzione, ma ci sono anche quelli con un approccio diverso. Noi finora non ne abbiamo avuto bisogno».

Come avete deciso il passaggio generazionale?
«Vi abbiamo lavorato a lungo, sia per i ruoli sia per la governance che va approntata per gestire i prossimi dieci anni. Cerchiamo di trovare il consenso con un punto fermo, la famiglia al servizio dell’impresa e non viceversa. Siamo due generazioni, i genitori Alberto e Paolo e noi figli: mio fratello Andrea e io, i cugini Maria Paola e Giacomo. Ci siamo riunti varie volte, ci ha affiancato un comitato di consulenti che ora ci aiuterà a portare a bordo i 12 della prossima generazione, dai 3 ai 37 anni, perché il rapporto famiglia-impresa resti forte ed equilibrato. Oltre alla managerializzazione serve la capacità di offerta, per attrarre talenti».

 

Quanto state investendo?
«In dieci anni, in media, il 20% dei ricavi in ricerca e sviluppo. Più gli investimenti per acquisizioni, sia per i prodotti di mercato sia per i progetti, in particolare nelle malattie ultrarare, uno dei nostri driver strategici di crescita».

Dopo l’acquisto dell’irlandese Amryt Pharma c’è altro in cantiere? Quanto investirete ancora?
«Diversi miliardi. L’acquisizione di Amryt vale 1,48 miliardi di dollari ed è stata finanziata per cassa, con un contributo di 700 milioni di euro dalle banche. Ora stiamo lavorando al nuovo piano strategico: quanto investire e in quali aree terapeutiche, per raggiungere gli obiettivi a dieci anni»
 

Che vantaggi dà l’essere BCorp?
«È utile per misurare e raggiungere gli obiettivi ma per noi il passaggio cruciale è stato diventare azienda benefit.I finanziatori pian piano selezionano le aziende secondo i criteri Esg. Sta arrivando uno tsunami sulla sostenibilità, è un cambiamento ineludibile».

Che cosa pensa della Legge di Bilancio?
«La buona notizia è che sulla sanità non sono state tolte risorse, ma restiamo al di sotto delle soglie indicate dall’Oms per la salute. Credo moltissimo nel settore pubblico, ma andrebbero coinvolti i privati negli investimenti».

 

(Fonte: Corriere Economia)

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