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Aziende di famiglia, Cristina Bombassei: «Forti nella reazione alla crisi, ma aprite le porte ai giovani»

La riservata Cristina Bombassei è tre figure in una: figlia (di Alberto, fondatore della Brembo); imprenditrice (azionista, consigliere e Csr officer di Brembo); e, dal 10 maggio, anche nuova presidente dell’Aidaf, l’Associazione delle imprese familiari (che ha confermato alla vicepresidenza Alessandro Garrone di Erg). Commendatore dell’Ordine al merito della Repubblica italiana, ha una convinzione: la necessità del dialogo, soprattutto nei momenti di crisi. «Per essere competitive le imprese e le istituzioni devono parlarsi — dice —. A volte non ci si rende conto delle eccellenze che abbiamo sui nostri prodotti, marchi forti in tutto il mondo. Valorizziamo ciò che abbiamo e confrontiamoci per capire le potenzialità, raggiungere obiettivi comuni». È con quest’impronta, unita alla volontà d’includere i giovani nella gestione delle imprese, che intende guidare per i prossimi quattro anni l’Aidaf, di cui assume la guida al posto di Francesco Casoli, ceo di Elica.

Che tipo di presidenza sarà la sua?
«Collegiale. Mi piace la condivisione, il fare squadra. Eredito un ruolo importante, con due past president come Elena Zambon e Francesco Casoli che mi consegnano un’Aidaf arricchita. Abbiamo 260 imprese associate e altre sette in fase di finalizzazione. L’anno scorso ne abbiamo iscritte 41 in più. Con la pandemia Aidaf non si è fermata, anzi. Erano 200 le imprese iscritte nel 2019, 248 l’anno scorso: le adesioni continuano a crescere».

Che cosa intende per collegialità?
«Dialogare, scegliere anche insieme. Per esempio, per il rinnovo del consiglio direttivo abbiamo chiesto chi volesse candidarsi e abbiamo avuto una trentina di persone disponibili a fronte di sette posti. Ogni quattro anni cambia metà del consiglio. Abbiamo tenuto fede alla diversity quest’anno, di genere ma anche di età. I giovani portano valore aggiunto, il comitato nomine ha valutato le 30 candidature con questi criteri».

Le imprese familiari sono cambiate durante la pandemia?
«È cambiato il modo in cui vengono percepite. Ci si è resi conto di che capacità di reazione abbiano, l’ultimo Osservatorio Aub (Aidaf, Unicredit, Bocconi, ndr) ha mostrato come abbiano risposto alla crisi meglio di altre in Italia. Di fronte alle difficoltà ha spesso prevalso l’attenzione, l’impegno del buon padre di famiglia che vuole lasciare un’impresa sana dopo di sè. Hanno prevalso le decisioni ponderate, ma anche il sapersi prendere un rischio, il voler buttare il cuore oltre l’ostacolo. Non c’è stato il freno tirato. Le aziende familiari hanno dimostrato che si può fare bene e di più, in un momento di crisi: anche confrontandosi in un’associazione. Anche per questo proporrò di nominare degli ambasciatori regionali di Aidaf nelle zone dove siamo meno forti, al Sud e nel Nord Est».

È una conseguenza del Covid?
«È un fatto che le persone sono tornate al centro. L’approccio al lavoro sta cambiando, il lavoro da remoto è diventato smart working. Si è imparato ad accettare i cambiamenti in corso. E i giovani vengono accolti con le loro idee, in modo nuovo. Per le nuove generazioni il work life balance è diventato Yolo, you only live once, si vive una volta sola. Lo stipendio passa quasi in secondo piano».

Suggerimenti per il governo?
«Le imprese familiari sono un tessuto fondamentale del Paese. Serve più attenzione verso di loro, con interventi sull’occupazione giovanile, percorsi di rafforzamento delle filiere anche sui temi della responsabilità sociale, di accompagnamento nella transizione ecologica. Il taglio del cuneo fiscale è un’iniziativa utile, ci auguriamo sia resa permanente perché aiuta sia le imprese sia i lavoratori».

L’export italiano continua a crescere e l’espansione è quasi un obbligo. Sono cambiati i rapporti internazionali?
«Sono diventati più forti. Con Casoli, che come altri past president è ora presidente onorario, l’Aidaf ha riallacciato i rapporti con le associazioni delle aziende familiari estere. Una è l’ Efb, European family businesses, che fa un lavoro istituzionale, di advocacy, con la Commissione e il Parlamento Ue. L’altra è Fbn, Family business network, che raduna in 65 Paesi 32 associazioni con 6 mila aziende. Parliamo di 17 mila individui di cui 6 mila 400 sono giovani: la next generation».

Sembra che questa sia la stagione delle successioni, la carica degli eredi. Le porte si aprono più facilmente ai figli?
«I giovani eredi di oggi hanno viaggiato, studiato, portano freschezza e competitività. L’inserimento nei board è più naturale, ma serve qualche spinta. Perciò è stato depositato in maggio alla Camera il disegno di legge bipartisan, che abbiamo preparato con Alessia Mosca, presidente del comitato scientifico Aidaf e firmataria con Lella Golfo della legge sulle quote rosa, per aumentare la diversity nelle imprese quotate e non, sopra i 20 milioni di ricavi».

Obiettivo raggiungibile?
«Crediamo di sì. Si spingono le imprese, con un incentivo fiscale, a inserire nei board almeno un esponente sotto i 40 anni e un indipendente, un solo consigliere sopra i 70 anni e dare almeno il 40% dei posti al genere meno rappresentato. Non è obbligatorio né penalizzante. Si consente a tutti di avere un board “certificato” sulla diversity. Oltre a essere socialmente giusta, la misura fa bene alla crescita dell’impresa e di chi vi lavora. In Brembo, ad esempio, il 45% del board è femminile».

Ma in Italia ci sono pochissime donne nei ruoli apicali, lo dimostra anche l’ultimo giro di nomine pubbliche...
«Nelle imprese familiari il principio non è messo in discussione a priori. E le quote rosa per chi è in Borsa hanno funzionato. Ma si può e si deve fare di più. Il talento è indipendente dal genere e dev’essere la priorità. È necessario creare le giuste condizioni per garantire pari opportunità di crescita, per esempio con più strumenti che supportino le famiglie nell’accudimento dei figli».

Sulla Borsa le aziende familiari sono divise. È un bene o no quotarsi?
«Ognuno decide in base alla propria situazione. Brembo è quotata dal 1995 e la consideriamo un’ottima esperienza: sia perché la Borsa fornisce i capitali per crescere di taglia sia perché aiuta la governance».

Investitori esterni: una risorsa?
«Possono essere utili nel cambio generazionale».

Brembo ha avuto conti record nel 2022: ricavi a 3,6 miliardi, +31%, utile a 292,8 milioni, +30,9%. Tendenza confermata nel primo trimestre. Quali leve usate?
«Innovazione e presidio di tuti i distretti automotive globali. In oltre 60 anni siamo passati da 15 dipendenti a 15 mila, siamo in 15 Paesi, stiamo aumentando gli investimenti in Cina, Messico e Polonia. Stiamo lavorando a fianco dei nostri clienti per supportarli nella transizione verso l’elettrico. La direzione è quella».

 

(Fonte: Corriere Economia)

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