Big data e innovazione, i super macchinari made in Italy dietro l’ultima rivoluzione industriale
La parola-chiave è servitizzazione ma per i macchinari made in Italy sarà il più ampio tema dell’innovazione ad essere decisivo nei prossimi anni. In palio c’è la conferma del vantaggio competitivo che ne fa oggi non solo un assoluto protagonista del totale delle esportazioni tricolori, ma un player di valore mondiale.
Spesso nella vulgata prevale un’accezione del made in Italy centrata sui settori leggeri (moda, design e cibo) dimenticando così come sia la meccanica l’altro grande passepartout dell’identità manifatturiera nazionale nel globo. A fare giustizia di tanti luoghi comuni arriva ora Ingenium, un ampio lavoro del Centro studi Confindustria (Csc) condotto in collaborazione con l’associazione di categoria Federmacchine. Il lavoro analizza il contesto internazionale, paragona l’offerta italiana (5.100 imprese, 206.500 occupati, 55 miliardi di fatturato di cui 35 di export) con quella dei principali competitor e individua alcuni indirizzi di policy strettamente necessari.
I servizi evoluti
Dicevamo della servitizzazione e dell’importanza di fornire servizi aggiuntivi al prodotto finito come elemento di competitività sui mercati. Si stanno sviluppando rapidamente servizi più evoluti, quali l’e-learning o realtà aumentata/virtuale, per accrescere le conoscenze specifiche del personale e dei clienti. Spiega Tullio Buccellato, economista del Csc: «Il mondo verso cui si sta andando chiede la manutenzione predittiva anche da remoto per controllare le performance delle macchine, prevederne i problemi di funzionamento, evitarne stop forzati. Per offrire questo servizio è fondamentale la raccolta e la gestione di una grande mole di dati e di conseguenza chiede alla nostra industria dei macchinari di muoversi sempre di più verso un profilo meccatronico».
I beni «Act»
Nell’affrontare lo scenario internazionale l’Italia può già contare su esportazioni ad elevata sofisticazione di beni strumentali, in particolare quelli che si distinguono per alta intensità di automazione, creatività e tecnologia e che vengono individuati con un acronimo come beni «Act». Sono 202 categorie di prodotto accomunati da alti livelli di precisione, dalla presenza sempre più qualificante dell’elettronica rispetto alla meccanica e da un crescente contenuto di servizi nell’offerta di vendita. Ebbene per molte di queste categoria di beni l’Italia è ben piazzata, esprime un vantaggio competitivo sia in termini di prezzo sia per le elevate quantità di macchine vendute e quindi nessuna sorpresa che risulti leader mondiale nella produzione di molte di quelle 202 categorie. Studiando (e moltiplicando) le combinazioni tra le categorie di macchinari e le destinazioni-Paese un territorio tutto sommato piccolo come l’Italia riesce ad essere presente in 22 mila casi contro i 23 mila della Rft e i 31 mila della Cina. Un risultato stupefacente che spiega da solo l’eccezionale grado di specializzazione e di presenza sui mercati dell’industria italiana delle macchine. «Riusciamo ad arrivare quasi ovunque, solo cinesi e tedeschi sono presenti in un numero maggiore di mercati».
L’aumento delle vendite
Nel 2022 le aziende italiane dei macchinari Act hanno fatto registrare un miglioramento del 14% rispetto al triennio 2019-21 che ci vede sopravanzare Francia e Germania. Nel 2022 l’Italia è cresciuta del doppio rispetto alla Francia e per ben otto volte rispetto alla Germania nell’esportazione di macchine tessili, per fare un esempio. Ancora più positivi i risultati nei sistemi di trasmissione della potenza e, relativamente al confronto con i partners renani (che perdono quote), nei macchinari per le fonderie. Complessivamente l’export Act vale quasi 28 miliardi di euro per la nostra bilancia commerciale e questo valore può essere diviso per mercati di destinazione. Quelli occidentali e più avanzati ne assorbono una buona quota, 18 miliardi, il restante va sui mercati emergenti. Ma secondo il Csc c’è un potenziale di altri 16 miliardi di esportazioni, che nonostante le prospettive di rallentamento della domanda mondiale, sono alla portata delle nostre imprese suddivisi parimenti tra mercati avanzati ed emergenti.
I mercati esteri
Per quanto riguarda i mercati dell’Ovest il peso degli Usa come sbocco è significativo e presenta ancora margini di incremento. Ma si può crescere ancora in Francia e Germania seguite in questa ipotetica graduatoria di chances da Canada e Austria. Il potenziale aggiuntivo dei mercati emergenti è guidato — e non potrebbe essere altrimenti — dalla Cina che ha anche il pregio di prevedere comunque tassi di crescita superiori alla media mondiale. Al secondo posto per speranze di crescita il mercato della Turchia, seguita da India, Messico e Brasile. Ma per portare a casa questi incrementi potenziali stimati dal Csc l’offerta italiana deve vedersela comunque con i concorrenti di sempre ovvero Germania, Cina e Giappone. Con i tedeschi è battaglia continua in primo luogo sui mercati avanzati, mentre i cinesi sono il principale competitor su quelli emergenti seppur alla fine le loro aziende sfornino prodotti qualitativamente inferiori alle italiane. Osserva Buccellato però che il potenziale sfruttabile nei paesi emergenti deve fare i conti con un maggior rischio di credito legato a molte situazioni di segno diverso tra le quali le dinamiche geopolitiche del mondo post-Ucraina contano sempre di più. Una strada indicata dal rapporto Csc è quella di insistere — anche in chiave geopolitica — non solo sulla Cina ma sui paesi Asean che vengono da un trend negativo: hanno frenato gli acquisti negli anni scorsi a causa della pandemia e hanno registrato un nuovo calo nel 2022.
La personalizzazione dei prodotti
Uscendo dalle analisi sui mercati internazionali e riportando la riflessione a livello micro Buccellato sottolinea come nel settore dei beni strumentali la richiesta dei clienti è sempre più orientata verso una maggiore personalizzazione dei prodotti. E qui si ritorna alla parola chiave (servitizzazione) che per le nostre imprese vuol dire anche «capacità di anticipare i bisogni dei clienti, gestire i dati, organizzare l’intera azienda e giungere al disegno di prodotti e utilizzo di dati per rispondere ai bisogni della domanda».
La concorrenza
Servitizzazione e sostenibilità «vanno a braccetto» — sostiene il Csc — e ci sono le condizioni per realizzare una sinergia culturale tra i due indirizzi. Per mettere assieme purpose e competitività. Riutilizzo dei macchinari, prodotti a basso impatto ambientale, minor consumo energetico e sistemi che possano essere riparati piuttosto che sostituiti, sono altrettante componenti della sinergia di cui sopra. E quindi di un’integrazione profonda tra le dinamiche delle transizioni digitale ed ecologica.
L’impatto della congiuntura
Ma questi scenari segnati dalla competizione internazionale sempre più feroce e da crescenti tassi di innovazione di sistema come impattano sulla struttura del made in Italy, caratterizzata da imprese di piccola dimensione e spesso a proprietà familiare? È sicuramente straordinario che nonostante questa struttura dell’offerta si siano realizzate le performance di cui parla il lavoro del Csc, ma il futuro può riservarci delle discontinuità negative?
Il rischio Pmi e il golden power
La risposta purtroppo è scontata: è chiaro che i nostri concorrenti, a cominciare dai tedeschi, vantano una struttura dell’offerta assai diversa che li mette in condizione di implementare più facilmente i cambiamenti necessari. Sicuramente la gestione delle imprese made in Germania ha un carattere manageriale prevalente e risulta spesso esterna alla proprietà mentre da noi tutto coincide e rischia di rappresentare un fattore di minore dinamicità e di difficoltà nella difesa del vantaggio competitivo. In teoria poi va messa in conto la possibilità che proprio per le caratteristiche di fragilità relativa di cui sopra le Pmi innovative italiane siano preda di acquisizioni mirate da parte di concorrenti, segnatamente i cinesi che negli anni scorsi avevano già messo a segno più di qualche colpo. Il giudizio degli esperti è che però il vento sia cambiato e ci sia un basso rischio di vendite agli asiatici in virtù dei profondi rivolgimenti geopolitici a cui abbiamo assistito. E si può aggiungere anche in base a una tendenza abbastanza ricorrente del governo Meloni a far uso del golden power o addirittura ad adottare un’interpretazione estensiva delle sue prerogative.
Il caso Tesla
Sostiene il professor Marco Taisch che i costruttori italiani di macchinari dovrebbero muoversi per tempo prima che si crei un caso Tesla-bis. Che un operatore esterno al settore, ma ricco di competenze high tech e AI, si infili nel business offrendo lui la servitizzazione ai clienti.
(Fonte: Corriere Economia)
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