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Bonus, PNRR, interessi sui BTP: tutte le insidie nascoste che gonfiano il deficit

Quando si parla di finanza pubblica la reazione più comune è a metà tra la noia e l’intolleranza. Anni di tassi d’interesse bassi se non negativi e il lungo periodo nel quale, causa la pandemia, le regole europee sono state (giustamente) sospese hanno creato una certa impermeabilità al problema. Quasi una ripulsa. Un’automatica rimozione. Sembra una questione d’altri tempi. Le emergenze sono altre. Le necessità vengono prima della contabilità. In linea di principio, in un mondo ideale, non vi sarebbe alcun dubbio su quali siano le priorità. Ma il periodo che abbiamo vissuto, negli ultimi tre anni, è stato del tutto eccezionale. E ci ha disabituato a fare i conti. Una leggera e apparentemente innocua ebbrezza. La prossima normalità non sarà simile a quella pre Covid. Non si vedono all’orizzonte austerità di bilancio peraltro incompatibili con i traguardi della decarbonizzazione e l’urgenza di aiutare le imprese nella transizione. Ma, nello stesso tempo, sarebbe illusorio (e pericoloso) credere alla possibilità di sopportare a lungo un aumento della spesa pubblica ai livelli attuali.

«Dall’illusione dell’abbondanza all’economia dell’abbastanza, è l’azzeccato titolo dell’ultimo rapporto del centro Einaudi, curato da Mario Deaglio, che delinea bene il cambiamento di paradigma in atto. Il quesito più importante (e non solo per la tenuta dei conti pubblici) è il seguente: quanto impiegheremo ad accorgerci che il mondo intorno a noi è cambiato e quanto ci costerà questa vischiosità nei comportamenti dei soggetti economici e di chi ci governa?

Nel 2024 le politiche di bilancio torneranno ad essere condizionate dalle nuove regole fiscali (e se non vi sarà accordo risorgeranno quelle vecchie), dall’effetto del progressivo disimpegno sui mercati della Bce, dal venire meno delle misure di sostegno che solo nell’Unione monetaria europea sono state, nel periodo 2020-22, circa il 3 per cento del prodotto interno lordo (Pil) dell’area. In Italia la congiuntura è stata, nel primo trimestre, migliore delle attese. Le previsioni di crescita a fine anno (superiori all’1 per cento) sono incoraggianti. Mai gli investimenti sono stati così elevati (il 20 per cento del Pil). Se da un lato l’industria rallenta, le esportazioni continuano ad andare più che bene. E così il turismo. Ciò teoricamente crea una minore pressione sulla finanza pubblica. Ma sarebbe un peccato non veniale se il governo Meloni coltivasse l’idea dell’apertura di inaspettati tesoretti fiscali. Anche perché il rallentamento c’è tutto. E lo dimostra il bilancio di assestamento al giro di boa di metà anno. I saldi sono confermati ma le entrate fiscali cominciano a soffrire un po’. Colpa della congiuntura ma non solo.

 

(Fonte: Corriere Economia)

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