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Credito e mercato, il ritorno dei pegni

Si impara di più sull’andamento della congiuntura e sui mutamenti della società osservando i piccoli e, all’apparenza, marginali fenomeni. Uno di questi è il credito su pegno che sembrerebbe soltanto un retaggio del passato, una pratica medievale. Anche se durante i momenti più duri del Covid abbiamo visto nugoli di persone in fila ai residui sportelli dei Monte di Pietà, spinti dal bisogno urgente di impegnare un oggetto di valore a fronte di un prestito. Per sopravvivere.
Ma è accaduto anche che commercianti e imprenditori a corto di liquidità facessero altrettanto per onorare il pagamento di stipendi e fatture. Nel nostro immaginario collettivo tutto ciò attiene alla sfera della povertà e dell’indigenza. E, di conseguenza, all’insieme di quelle piaghe sociali che tendiamo a non vedere, a rimuovere.

In realtà non è così. O, meglio, non è più così. È accaduto che la tecnologia blockchain abbia costituito una forma inaspettata di rilancio per questa branca del credito al consumo. Per una semplice ragione. Le ha tolto, grazie alla riservatezza garantita dalle diverse applicazioni, tutto il suo rischio reputazionale. Ovvero la vergogna di farsi vedere nel momento in cui ci si priva di qualcosa di intimo, un gioiello di famiglia, un oggetto attinente alla sfera degli affetti, per ottenere un prestito. Il successo contemporaneo di questa attività è spiegato anche con altre attitudini personali e familiari che non rappresentano di per sé un indice di difficoltà economica. Le nostre vite sono ingombre di oggetti che vengono ceduti molto più facilmente di un tempo. Nell’era dell’affitto (più che del possesso) la Rete è ricca di offerte di questi tipo. Un gigantesco mercato dell’usato (da Wallapop a Vinted). Non solo: il 30% dei contraenti è costituito da immigrati che non sono ancora «bancabili» (termine orrendo), cioè non in grado di accedere al credito normale, ma ormai inseriti a pieno titolo in varie attività produttive. Non ancora del tutto integrati nella nostra società. Senza la «bancabilità» non c’è però cittadinanza reale. Questo è il punto, sociale e anche politico. Una fetta, ancora troppo ampia, di attori dell’economia reale ne è esclusa. Tra questi i «nuovi italiani» o quelli che vorrebbero diventarlo.

Banca Sistema è il leader bancario, con Kruso Capital, di questo particolare mercato del credito al consumo (che comprende per esempio anche la cessione del quinto). Il gruppo ha acquisito nel tempo quasi tutti i Monti di Pietà (il più antico quello di Parma è del 1442). L’altra protagonista è una controllata della casa d’aste austriaca Dorotheum. Un business, in Italia, di circa 800 milioni. I tassi di crescita sono stati, negli ultimi anni, rilevanti. «Una delle caratteristiche spesso poco considerate del credito su pegno — afferma Gianluca Garbi, amministratore delegato di Banca Sistema — è che il 97% dei sottoscrittori restituisce il suo prestito. E se il suo bene dovesse poi andare all’asta, spuntando un prezzo superiore alla sua valutazione, riceverebbe la differenza. Come accadeva nel Medioevo, il credito su pegno è un antidoto all’usura e uno strumento essenziale del microcredito. Si impegnano oggetti di valore, ai quali si è legati, ma meno essenziali della casa che si mette a garanzia di un mutuo. E poi, a differenza di quello che succede in banca quando si ottiene un prestito, non vi è alcun obbligo di dire come poi la somma ottenuta verrà impiegata».
 
Garbi ha spiegato le virtù moderne del credito su pegno nell’introduzione di Monte dei Pegni, un anticipo del futuro (La Nave di Teseo) con i racconti di Elena Loewenthal. Luca Ricolfi, nella prefazione, ammette di aver avuto molti pregiudizi sul fenomeno, ma lo promuove con tre parole chiave: privacy, velocità e libertà. «In una società signorile di massa — sostiene il sociologo torinese — risparmio e possesso dei beni sono sostituiti sempre di più dal consumo e dall’uso». Ma, obiettiamo noi, che differenza c’è con il proliferare, assai triste, dei tanti «Compro oro» sparsi nella Penisola? «In questi casi i clienti accettano valutazioni largamente al di sotto delle quotazioni del mercato», è la risposta di Garbi. Il costo della custodia equivale al tasso d’interesse del prestito.
 
Emergono alcune curiosità. Il 10% è costituito da orologi Rolex. L’unico caso in cui vale il brand, grazie anche a un fiorente mercato secondario alimentato dallo stesso gigante svizzero. Poi contano l’oro o i diamanti (montati però). Le alte quotazioni del metallo giallo incoraggiano l’offerta di gioielli. Si va sull’app, si fa la foto del bene che viene raccolto a domicilio. Anonimato garantito. I contratti, rinnovabili, vanno da 3 a 12 mesi.
La media del prestito è di 1600 euro, ma si arriva anche a 150 mila.
La storia di queste forme di credito popolare ci consente di radiografare con maggiore precisione l’evoluzione della microeconomia. Basti citare Etica e sviluppo economico, di Tommaso Fanfani (Bancaria 2002). «Nella sua origine francescana — è il commento di Daniela Felisini, ordinario di Storia economica all’Università di Roma Tor Vergata— il credito su pegno consentiva ai più poveri di accedere a una minima forma di sostegno e al nascente commercio rinascimentale di finanziarsi a condizioni migliori. Da una parte un progressivo affrancamento da forme di subalternità sociale e dall’altra un impulso decisivo allo sviluppo dell’artigianato e della piccola impresa. Ed è significativo che oggi, grazie alla tecnologia blockchain, che rende possibile il successo seppur controverso dei bitcoin, il credito su pegno appaia agli occhi, per esempio degli immigrati, la prima leva di finanziamento, il problema è che non rimanga l’unica». E qui sta tutta la riflessione finale: non è solo un fiorente mercato retail per le banche o una diversificazione delle case d’aste, è anche l’anticamera di una cittadinanza piena, non solo bancaria, oltre che un antidoto all’imperscrutabile universo nero dell’usura e della criminalità. Il futuro di una società si vede meglio ai suoi margini. Noi però volgiamo lo sguardo altrove.

 

(Fonte: Corriere della Sera)

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