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Debito pubblico senza freni: chi pagherà quei mille miliardi di interessi?

Lo potremmo definire un piccolo pro memoria per quei sempre più numerosi politici che, per conquistare il «consenso a tutti i costi», continuano a fare promesse come se non esistesse il mostruoso debito pubblico, un problema che potrebbe pregiudicare un minimo di benessere e di libertà economiche a chi verrà dopo di noi. L’ultima tra le novità la difesa delle famiglie che non arrivano alla settimana (fino a ieri era fine mese) alle quali destinare oltre all’assegno unico per il nucleo familiare, la riduzione del cuneo contributivo e il Tir (l’ex bonus Renzi maggiorato) per un costo totale annuo di oltre 32 miliardi, anche ulteriori defiscalizzazioni (premi, tredicesime, sconti sulle accise e così via) ma solo per redditi inferiori alla linea Maginot dei 35 mila euro. Eppure dovrebbero saper bene che il 60% degli italiani che dichiarano redditi fino a 25 mila euro pagano solo l’8% dell’Irpef e hanno scuola, sanità e altro totalmente gratis mentre il 13% della popolazione che dichiara redditi da 35 mila euro lordi in su (duemila euro netti mese), paga più del 60% dell’Irpef e la quasi totalità di Ires e Irap. Ma per questi sostenitori del bilancio pubblico nessuna agevolazione: è la giustizia sociale dei nostri politici che ovviamente preferiscono il 60% dei voti al 13%.
 
Purtroppo, di tempo per ridurre il debito prima che intervengano riduzioni di rating, ne rimane poco. Il debito pubblico a fine 2019, prima della pandemia aveva raggiunto i 2.409,9 miliardi (134,7% del Pil) rispetto ai 1.632 (102%) del 2008; è stato un periodo in cui partiti e i sindacati hanno sostenuto una presunta austerità imposta dalla «matrigna» Europa, lamentandosi dei vincoli del Patto di stabilità. Ciò nonostante, alla faccia dell’austerità, in soli 11 anni, dal 2008, i nostri politici di centro destra, centro sinistra e coalizioni gialloverdi e giallorosse, sono riusciti ad accumulare ben 777 miliardi di nuovo debito con un incremento sul 2008 del 47%. Ma che debito avrebbero fatto se non ci fossero stati i pur flebili «paletti» europei? Mille miliardi?

E pensare che l’8 settembre 2011 il Consiglio dei ministri varò, su proposta del ministro Giulio Tremonti, il disegno di legge costituzionale che prevedeva di introdurre il principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale, cosa che avvenne con la legge costituzionale n. 1/2012 che all’articolo 81 recita: «Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico». Invece tutti i governi che si sono succeduti dal 2012 a oggi hanno sempre trovato una «valida» quanto pericolosa ragione per spostare la fatidica data del pareggio di bilancio che ancor oggi non è neppure all’orizzonte del 2026.

Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte 1 e Conte 2 fino all’attuale governo continuano a rinviare tale data per, dicono, «aiutare le famiglie». Le politiche impostate nel 2018/19 dal governo Conte 1 (reddito di cittadinanza e quota 100 in primis) sono incappate nel Sars-Cov2 e, a fine del 2020, il debito ha raggiunto i 2.573,5 miliardi (157% del Pil) +163,6 miliardi in un solo anno. A fine 2021, pur a fronte di una crescita del Pil del 7,2% e un aumento dell’occupazione di 550 mila unità (nuovo metodo di calcolo Istat), il debito raggiunge i 2.678,4 miliardi di euro con un incremento di altri 104,9 miliardi in 12 mesi, pari, secondo le stime della Banca d’Italia e dell’Istat, al 150,8% del Pil 2021, il 5% in meno rispetto al 2020 ma con deficit pari al 6,6%.

A fine dicembre 2022 (governo Draghi 13 febbraio 2021 - 22 ottobre 2022) il debito pubblico ammontava a 2.762 miliardi di euro cioè + 83,6 miliardi mentre il Pil ai prezzi di mercato è pari a 1.909,15 miliardi con un aumento del 6,8% rispetto all’anno precedente e un rapporto debito/Pil pari al 144,67%. La Nadef, la nota di aggiornamento al 2022, prevedeva originariamente per il 2023 un indebitamento del 3,9% aumentato nella revisione al 4,5%; 3,7% per il 2024 e 1,3% (che è oggettivamente impossibile da raggiungere) nel 2025, con un nuovo debito per circa 90 miliardi nel 2023; 77 nel 2024; e 70 nel 2025.

L’ultima rilevazione di Banca d’Italia calcola il debito a giugno 2023 in 2.843 miliardi: nuovo record storico con un incremento rispetto a fine 2022 di altri 81 miliardi. Occorrerà una crescita robusta dell’economia italiana, cosa impossibile con le attuali esasperanti politiche assistenziali basate su un Isee che è un vero motore per il sommerso, per sostenere un debito così elevato, considerando che la Bce ha chiuso il programma di acquisto di attività e che i tassi di interesse sui titoli di Stato sono passati dallo 0,63% del Btp a dieci anni del gennaio 2021 a circa il 4%. Aumenta quindi in modo clamoroso il costo per pagare gli interessi sul debito pubblico che nel 2019 era di 60,3 miliardi, 57,3 nel 2020; 63,7 nel 2021; 77,2 nel 2022; 81,5 nel 2023; 80 nel 2024 e 87 nel 2025. Dal 2009 al 2022 sono stati pagati interessi sul debito per circa 975 miliardi e nel 2023 spenderemo 21 miliardi in più rispetto al 2019 sempre che la Bce non prosegua nell’aumento dei tassi base.

Infine, entro il 2024 potrebbe essere reintrodotto il Patto di stabilità. Con questi dati sarà molto complicato e difficile poter sostenere nei prossimi anni l’economia del Paese. Sono passati quasi 8 anni dall’inizio del quantitative easing e dei «tassi zero» della Bce di cui l’Italia ha beneficiato a piene mani (altro che uscire dall’euro) senza peraltro, in questo periodo di «vacche grasse», riuscire a ridurre il debito che nel 2025 potrebbe valicare la soglia dei 3.000 miliardi di euro. Con il rischio di finire come la Grecia.

(Fonte: Corriere Economia)
 

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