Enrico Letta: «L’Unione dei risparmi e degli investimenti per finanziare la transizione verde»
«L’urgenza di questo rapporto nasce dal fatto che tutti i dati dimostrano che cinesi e indiani da una parte e americani dall’altra stanno andando più forte di noi europei, soprattutto innovando di più». L’ex premier Enrico Letta, presidente dell’Istituto Jacques Delors, il 18 aprile ha presentato ai leader Ue il suo rapporto sul futuro del Mercato unico, che gli è stato affidato nel giugno scorso dal Consiglio europeo. Letta mette le mani avanti: «Il paragone con gli Stati Uniti non significa che dobbiamo diventare come loro, perché io sono assolutamente orgoglioso del modello europeo e del welfare europeo» .
Perché è importante il futuro del Mercato unico?
«Il mercato unico è la nostra vita di ogni giorno: da lui dipende la possibilità di studiare in un Paese europeo, la facilità di vendere i propri prodotti o la possibilità di trovare un lavoro in un altro Paese Ue, dipendono gli standard di sicurezza. È la forza della nostra economia, quindi renderlo meglio funzionante dà più opportunità ai singoli cittadini. Se è troppo frammentato tra i singoli Paesi, non siamo in grado di competere con cinesi e americani».
Come deve cambiare?
«Il mercato unico è rimasto indietro e il mio rapporto preconizza la possibilità di recuperare l’integrazione in tre macro settori in cui il sistema è frammentato in mercati nazionali, ovvero le telecomunicazioni, l’energia e i mercati finanziari, e immette nuove idee. In particolare propone la quinta libertà, cioè la libertà della conoscenza, dei dati e della ricerca. L’Europa è drammaticamente indietro su innovazione e ricerca».
In che modo il completamento dell’Unione del mercato dei capitali può aiutare l’Ue a finanziare le nuove priorità?
«La frammentazione del mercato finanziario europeo lo rende poco attrattivo: si calcola in 300 miliardi di euro l’anno la cifra di risparmi di noi europei che se ne va negli Stati Uniti invece di finanziare l’economia europea e la transizione verde e la difesa».
Come se ne esce?
«C’è bisogno di mettere insieme il finanziamento privato, rendendo il finanziamento di queste iniziative appetibile per i capitali privati, e finanziamenti pubblici come è stato per Next generation Eu. Ma in questa fase ci sono i Paesi nordici, come la Germania e non solo, che sono profondamente contrari a mettere soldi nuovi. Quindi bisogna sbloccare questa situazione attraverso una serie di strumenti innovativi, come degli strumenti di risparmio che consentano al cittadino di avere buoni tassi di interesse e di non rischiare e allo stesso tempo far sì che questi soldi alimentino il finanziamento della transizione e non si perdano invece dentro i conti correnti bancari o finiscano negli Stati Uniti.
È l’Unione dei risparmi e degli investimenti?
«Il mercato dei capitali non può essere riformato con l’idea della finanza per la finanza perché non funzionerà mai. L’unico modo è renderlo utile per delle cose che riguardano tutti noi. Con la mia proposta finanziamo la transizione verde e la rendiamo economicamente sostenibile, facciamo in modo che non siano a pagarla gli agricoltori o per esempio i lavoratori del settore dell’automobile».
Perché i Paesi Ue non avanzano sull’Unione del mercato dei capitali? Quali sono le reticenze da superare?
«Il blocco dei grandi — Italia, Francia, Germania e Spagna — è a favore. Il timore dei piccoli è di perdere la loro sovranità sulla borsa locale e sulle autorità locali. Il problema di fondo è come mantenere una parte di sovranità nazionale e allo stesso tempo rendere efficiente il lavoro europeo. Propongo un sistema simile a quello bancario dove convivono la Banca centrale europea e le banche centrali nazionali: per il mercato finanziario le autorità locali sopravvivono ma cooperano con un’autorità centrale europea con competenze diverse».
E per l’energia?
«Continuiamo ad avere mercati nazionali e scarse interconnessioni e il risultato sono i costi alti. Il problema è che continuano a esistere le frontiere dentro l’Europa e ci limitano. Nel mio viaggio ho constatato che esiste ancora un’Europa dei fondatori e un’Europa centro-orientale, dove sono stati rimessi i controlli temporaneamente alle frontiere interne. Ma il mercato unico è eliminare le frontiere».
Come dovrebbero cambiare gli aiuti di Stato?
«Devono tornare a essere un’eccezione e quando la Commissione le autorizza, una parte di quell’aiuto dovrebbe andare ai Paesi vicini perché la logica non può essere di un Paese che fa concorrenza all’altro. Così facendo si andrebbero a creare degli strumenti di intervento collettivi più efficaci».
Perché ora i Paesi sarebbero pronti a più integrazione?
«Mi sono molto ispirato al lavoro sul Mercato unico di Mario Monti del 2010. In quegli anni l’Europa ha fatto passi indietro a causa della crisi. Molte delle cose che Monti ha proposto non sono state applicate: il tema dei servizi è quello su cui siamo indietro. Ma rispetto a 15 anni fa c’è stato il Covid, la guerra e la crisi energetica: si è capito che non c’è una via nazionale alla salvezza. Nelle elezioni del 2014 e del 2019 molte proposte politiche erano di uscita dall’Ue e dall’euro, oggi non più. Oggi c’è più consapevolezza e poi ci sono i dati economici».
Nel suo rapporto fa riferimento all’importanza delle economie di scala. Ma quale futuro vede per le Pmi?
«Non dobbiamo andare verso il gigantismo americano. Abbiamo bisogno di grandi imprese che crescano ma abbiamo anche bisogno di coccolarci le piccole che sono il cuore del nostro sistema. Propongo il “ventottesimo regime” giuridico e di diritto societario che è un passepartout che consente a una piccola impresa di muoversi in tutti i Paesi Ue invece di cambiare 27 volte sistema. È poi fondamentale la difesa dei diritti dei lavoratori: propongo l’eliminazione del concetto di massimo ribasso negli appalti perché ne sta mettendo a rischio l’incolumità.
(Fonte: Corriere della Sera)
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