Torna al Blog

Fondo sovrano, Cipolletta: «Regole di mercato con i privati o si rischiano logiche distorsive»

Innocenzo Cipolletta per l’ampiezza del suo curriculum (ex direttore generale Confindustria, presidente Ferrovie, numero uno del Fondo di Investimento italiano, presidente dell’associazione del private equity) è la persona giusta per formulare un primo giudizio sui progetti annunciati dai ministri Adolfo Urso e Giancarlo Giorgetti per il rilancio del made in Italy, contenuti in una prima bozza di un disegno di legge datata 15 maggio. A lui abbiamo chiesto una valutazione delle intenzioni del governo e una riflessione più generale sul binomio Stato/Mercato nella stagione del governo Meloni.

Che cosa ne pensa del disegno di legge che dovrebbe essere varato entro l’anno?

«Diciamo che l’insieme degli articoli si presenta come uno zibaldone, c’è un po’ di tutto. Cose di varia natura sulle quali è difficile emettere un giudizio univoco. Penso che la novità più rilevante sia il Fondo Sovrano e di questa si possa e si debba discutere. Trovo corretto che il governo si preoccupi di aumentare la competitività della media industria, è un intendimento positivo. Ma qualsiasi strumento deve essere rispettoso delle regole di mercato».

Quali sono i caveat che si sente di indicare?
«Penso che il nuovo Fondo Sovrano dovrebbe utilizzare gli strumenti che già esistono, operare come un fondo dei fondi. Se fosse invece piegato a una procedura di investimento diretto del ministero dell’Economia e delle Finanze dentro singole aziende di fatto si creerebbe una logica di Partecipazioni Pubbliche. Con la conseguenza inevitabile di agire secondo interventi politici influenzati da variabili locali o elettoralistiche che costituirebbero una profonda distorsione del rapporto tra Stato e mercato».

Concorda sugli obiettivi che il disegno di legge indica?
«Vanno fissati degli obiettivi, sicuramente. Il rafforzamento delle filiere, il reperimento delle materie prime necessarie, la crescita dimensionale delle imprese, la creazione di filiali all’estero mi paiono tutti intendimenti sottoscrivibili. Però bisogna lasciare libertà agli operatori privati coinvolti nel finanziamento di avere potere di scelta e di influenza. Un privato investe nel Fondo Sovrano se ha garanzie di non partecipare a un’operazione politica, ma di puntare al raggiungimento degli obiettivi di cui sopra e alla creazione di reddito».

Va bene la strategia ma si devono garantire ritorni...
«Le due cose vanno assieme. Una filiera più forte sarà più competitiva e più capace di produrre ricchezza. Sembra ovvio, ma è giusto sottolinearlo. Se invece a scegliere i percorsi dell’investimento sarà un funzionario del ministro o anche il ministro o il sottosegretario è difficile che il Fondo Sovrano possa resistere a un certo tipo di pressioni».

Come operatori privati da coinvolgere si punta alle fondazioni ex bancarie e alle Casse previdenziali dei professionisti.
«A maggior ragione, dunque. Le Casse devono tutelare i risparmi dei pensionati».

Ma l’obiettivo di coinvolgere le Casse non era già nelle intenzioni della Cdp? Con scarsi risultati però...
«Cdp lo ha fatto in una logica di private equity tout court, mentre il Fondo Sovrano dovrebbe limitarsi ad assumere partecipazioni di minoranza senza sostituirsi al capitale. Altrimenti cadremmo nella fattispecie dell’esproprio».

Non esiste già Patrimonio Rilancio per condurre operazioni analoghe a quelle che si propone il Fondo Sovrano?
«Patrimonio Rilancio non è stato uno strumento utilizzato se non per un’operazione di 2 miliardi dedicata al venture capital».

Allora forse varrebbe la pena razionalizzare e comunque unificare gli strumenti.
«Immagino che lo facciano. In Patrimonio Rilancio c’è una quota di capitale non utilizzata e che si può usare».

 

Luigi Marattin di Italia Viva ha detto che il Fondo Sovrano assomiglia a una nuova Iri.
«Se c’è intermediazione degli operatori privati e partecipazione di minoranza non c’è il rischio Iri. Quel rischio lo vedo più direttamente nella Cdp, direttamente posseduta dal Mef e presente in una quantità di imprese. Un rischio che è stato temperato dalla presenza delle Fondazioni ex bancarie e dall’operato di buoni amministratori. Ma il rischio Iri sta lì, non nel Fondo Sovrano».

Negli anni Dieci nacque per effetto di una legge voluta da Tremonti il Fondo Strategico Italiano (Fsi). Che differenze ci sono con il Fondo Sovrano di Urso-Giorgetti?
«Fsi aveva una logica differente, era rivolto al rafforzamento di imprese di una certa dimensione, per aiutarle a crescere ulteriormente o a difendersi da assalti stranieri. Non dimentichiamo che la legge Tremonti nacque sull’onda del caso Parmalat-Lactalis. Poi il Fondo strategico italiano è diventato un puro fondo di private equity. Tanto per riavvolgere il nastro e cercare analogie non bisogna dimenticare il Fondo Italiano d’Investimento nato nel 2010 per aiutare le Pmi con intervento di minoranza. Ne sono stato presidente e posso tranquillamente dire che ha avuto un buon successo, ma godeva di una dotazione limitata a un solo miliardo. Con l’apporto dei privati siamo arrivati a 3-4 miliardi, non di più. Il Fondo Sovrano per stare agli obiettivi che si indicano dovrebbe avere maggiori munizioni».

Quante?
«Dalle prime indiscrezioni si legge che il Fondo Sovrano avrà al massimo un miliardo. Troppo poco, dovrebbe partire da 6-8 miliardi che moltiplicati con l’intervento di capitali privati porterebbero le munizioni a 15-20 miliardi necessari per intervenire in un numero consistente di imprese. Con un solo miliardo l’operazione non avrebbe alcuna consistenza sul piano macro-economico. Non si vedrebbe nemmeno».

Esponenti leghisti hanno paragonato il Fondo Sovrano al fondo statale norvegese.
«Quelli, sia della Norvegia sia del Kuwait, sono fondi di risparmio che puntano al massimo ritorno, non sono indirizzati a obiettivi di politica industriale. E investono all’estero con un’ampia diversificazione settoriale e territoriale proprio per non perdere soldi».

Un’altra obiezione: invece di perder tempo con strumenti nazionali non è meglio puntare su un robusto Fondo Sovrano europeo?
«Niente impedisce all’Italia di partecipare con maggiore convinzione ai progetti europei, ma le nostre imprese sono piccole e specializzate e non rientrano nei radar delle iniziative Ue».

Dell’istituzione della giornata nazionale del made in Italy il 15 aprile di ogni anno cosa ne pensa?
«Sono cose di contorno, non aggiungono molto. È pura comunicazione politica».

 

(Fonte: Corriere Economia)


 

 

 

 


 

Contattaci per una pre-analisi gratuita e senza impegno

Valuteremo insieme le tue necessità e ti proporremo un piano d’azione per reperire i capitali di cui hai bisogno.

Iscriviti alla nostra newsletter

Ricevi novità e consigli finanziari utili alla tua attività.