Nel 2023 flette la propensione a investire delle imprese lombarde: in tutti i settori diminuisce infatti la quota che dichiara di aver realizzato investimenti nel corso dell’anno, riportandosi sostanzialmente sui livelli del 2018-2019, o poco sotto. I problemi derivanti dai tassi e le incertezze nello scenario economico spingono gli imprenditori a una maggior cautela negli investimenti. L’industria si conferma il settore con la maggiore intensità di investimenti, realizzati da quasi i due terzi delle imprese del campione (61%), anche per via della maggiore dimensione media che le caratterizza. Gli artigiani manifatturieri, caratterizzati da una dimensione minore, si fermano invece al 28%. Negli altri settori la quota di imprese investitrici si attesta intorno al 32% nel commercio e al 31% nei servizi.
Le previsioni per il 2024 registrano una flessione nella quota di imprese che intendono investire in tutti i settori, flessione già riscontrata nelle previsioni sul 2023 da artigianato, commercio al dettaglio e servizi. Nell’industria le imprese potenzialmente investitrici nel 2024 si riducono al 60%, e l’artigianato evidenzia la quota più bassa tra i settori analizzati di imprese che pensa di investire nel 2024 (25%). Nel terziario le imprese che pensano di investire nel prossimo anno si attesta intorno ad un terzo degli intervistati: 36% per il commercio al dettaglio e al 33% per i servizi. In tutti i settori la previsione per il 2024 è comunque migliore rispetto alla media degli anni pre-covid 2018-2019.
Analizzando in maniera congiunta le percentuali delle imprese che hanno investito nel 2023 e che intendono investire nel 2024, si nota come i sotto-settori con la maggior propensione siano quelli industriali afferenti a chimica, siderurgia, alimentari, mezzi di trasporto e gomma-plastica. Viceversa, tra i comparti dove si registra la minore propensione ad investire troviamo i settori artigiani del comparto moda, della siderurgia, i servizi alla persona e i negozi specializzati alimentari. In posizione intermedia tra questi due gruppi si trovano i servizi alle imprese, il commercio all’ingrosso, l’industria dell’abbigliamento e quella delle pellicalzature, oltre ai negozi specializzati non alimentari e a quelli non specializzati (che comprendono supermercati e minimarket). Questi risultati settoriali dipendono non solo dal diverso tipo di attività ma anche dalla differente dimensione media che li caratterizza.
La composizione degli investimenti conferma una decisa prevalenza della componente materiale, soprattutto nel manifatturiero dove si attesta al 90% circa del valore complessivo (88,5% nell’industria e 91,1% nell’artigianato), mentre per il terziario la quota si abbassa all’81,6% nei servizi e al 78,2% del commercio al dettaglio. Incidono soprattutto gli investimenti in impianti, macchinari e veicoli, che nell’artigianato raggiungono il 71,1% del totale, mentre nel commercio al dettaglio si limitano al 38,5%, dove pesano invece maggiormente, rispetto agli altri settori, i fabbricati e terreni (12,8%). La voce relativa alle attrezzature informatiche è invece rilevante soprattutto nei servizi (11,9%). Gli investimenti immateriali rappresentano quindi una quota maggiore nel terziario (21,8% nel commercio al dettaglio e 18,4% nei servizi), dove le voci principali riguardano i software e la consulenza, R&S e formazione. Minoritaria invece la percentuale destinata ai brevetti, concessioni e licenze, che raccoglie circa l’1% del valore complessivo.
Gli obiettivi alla base degli investimenti sono legati soprattutto al rinnovo di impianti e apparecchiature obsolete, finalità indicata da circa il 50% delle imprese che hanno investito nel 2023, con percentuali in crescita rispetto al 2022 per il commercio, stabili per industria e servizi e in contrazione per gli artigiani. Al secondo posto, le imprese manifatturiere segnalano l’aumento della capacità produttiva con una quota intorno al 30%, che nei servizi scende al 25% e al 20% nel commercio ma, per quest’ultimo settore, in sensibile crescita rispetto allo scorso anno (era il 12%). Nell’industria, nell’artigianato e nel commercio al dettaglio risulta importante anche la diversificazione dell’attività (12-13%). Perde importanza l’internazionalizzazione per il commercio al dettaglio: dal 19% nel 2022 scende al 7%.
Le motivazioni addotte dalle imprese che non hanno realizzato investimenti nel 2023 vedono al primo posto la mancanza di una reale esigenza, con percentuali che vanno dal 34% dell’industria al 59% dei servizi, in crescita rispetto al 2022. Sommando anche le indicazioni relative ad investimenti già realizzati negli anni precedenti o programmati per quelli successivi, si raggiunge una quota di imprese pari a circa il 60-70% che non ha realizzato investimenti per scelte proprie non legate a ostacoli o vincoli esterni. Le imprese che invece sono state scoraggiate da prospettive di mercato incerte sono circa il 15% nel manifatturiero (in calo su base annua), scendendo all’11% nel commercio e all’8% nei servizi (sempre in calo rispetto al 2022). La mancanza di risorse finanziarie viene citata invece da circa 1 impresa su 10, con una punta del 14% nell’artigianato.
Al di là delle intenzioni per quel che riguarda la propria impresa, gli imprenditori dei servizi sono abbastanza ottimisti sull’andamento degli investimenti nel 2024 per il proprio settore: il saldo tra previsioni di crescita e diminuzione è pari a +4%. Più cauti gli imprenditori dell’industria e del commercio al dettaglio, dove le indicazioni di aumento e diminuzione quasi si equivalgono, con un saldo negativo ma molto prossimo a zero. Gli artigiani si confermano invece i più pessimisti, con quasi un terzo di indicazioni di diminuzione di investimenti nel 2024 (30%) e un saldo ampiamente negativo (-18).
(Fonte: Unioncamere Lombardia
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