La crisi economica? L’Italia può superarla con le pmi (digitali, circolari, innovative)
Carenza di materie prime, costo dell’energia, inflazione crescente, tassi di interesse potenzialmente ballerini, blocco della mobilità su diverse rotte internazionali, revisione delle catene di fornitura, inserimento dello smart working negli accordi sindacali. Il tutto condito ancora dal «mascherine si, mascherine no» sul posto di lavoro, sperando che la pandemia stia davvero terminando.
Gestire un’azienda oggi sembra un lavoro degno dei supereroi della Marvel. Ora che eravamo pronti ad assaporare la meritata crescita dopo due anni di sacrifici indotti dallo scenario bellico prodotto dal virus, ecco che ci troviamo di fronte a una guerra vera che, oltre a infliggerci il dolore morale e materiale del gesto più becero dell’umanità, ci impone altri sacrifici e soprattutto eleva al quadrato l’incertezza. Incertezza sui piani che molti avevano già emendato – arricchiti taluni da proiezioni fino al 2030 e che orano devono essere rivisti. Incertezza sui budget 2023 che erano finalmente stimati a un ritorno dei consumi e quindi dei fatturati almeno ai valori del 2019 e ora sono messi a rischio. Incertezza sui progetti innovativi che ciascuno di noi aveva in cantiere e che improvvisamente sono fagocitati dall’emergenza quotidiana che l’operatività impone. Ora che i consumi, come dimostra anche il ritorno del turismo, sembrano in effetti riprendere e non si palesa più lo «choc della domanda» prodotta dal lockdown della pandemia, si rischia uno «choc dell’offerta» legato al reperimento delle materie prima e al costo crescente dell’energia. Le stime al ribasso sulla crescita a livello nazionale e internazionale di Fmi ne sono conferma (-1,5% nel 2022 ovvero +2,3% e -0,5% nel 2023 ovvero +1,7%).
Quale bussola occorre prendere a riferimento in un contesto così confuso? Calma e sangue freddo. La vera leadership la si osserva con i mari in tempesta, non navigando con il vento battente nella direzione giusta. Partiamo dal constatare che gran parte dei problemi sono comuni sia a livello internazionale sia intersettoriale e che la politica delle banche centrali e dei governi sta cercando di trovare quantomeno dei palliativi per attenuarne l’impatto. Occorre quindi anzitutto mettere al sicuro la gestione corrente, cercando di sfruttare il più possibile le forme di supporto che vengono fornite, come in parte abbiamo imparato a fare durante la pandemia. Ma occorre altresì continuare ad innovare nella dimensione strategica delle nostre piccole medie imprese, le Pmi. È difatti altrettanto fondamentale non dimenticare il contesto in cui stiamo vivendo e per cui anche i macro aiuti europei del Next generation EU (i fondi per il recupero dopo la pandemia, ndr) sono stati stanziati. L’eccellenza della azienda italiana è in buona misura legata alla manifattura ed è figlia del Piano Marshall del dopoguerra. La sua competitività nel medio termine rischia di essere sostanzialmente compressa e la sua vitalità dipende dalla nostra capacità di adeguarla alle logiche digitali, circolari e di governance del nuovo millennio. Solo innovando lungo queste tre dimensioni potremo scavallare l’incertezza del momento attuale e conferire ai posteri un Paese competitivo su scala globale.
Partiamo dalla digitalizzazione. Digitalizzare non significa acquistare software e applicativi aggiornati, ma significa soprattutto riorganizzare i principali processi aziendali in modo che possano essere sì guidati dalla discrezionalità dei manager, ma che siano potenziati dai dati che il digitale permette oggi di ottenere. Nel farlo occorre incentivare chi prende decisioni perché sia più «data-driven» o, meglio, come amiamo dire oggi «data-informed». Ma dobbiamo anche essere «circolari». Dobbiamo esserlo non solo perché lo vogliono i nostri consumatori e ce lo impongono i fondi (+15% di crescita di investimenti sostenibili a livello globale), ma perché è un obiettivo di etica che dobbiamo imporre a noi stessi se vogliamo superare la logica estrattiva della globalizzazione che ci lasciamo alle spalle e vogliamo cavalcare con serenità i prossimi lustri. Del resto la guerra e le conseguenze geopolitiche che si porterà dietro è dimostrazione della necessità di immaginare filiere di produzione più regionali, meno dipendenti da tratte di trasporto che inquinano inutilmente e che producono colli di bottiglia incoerenti con i processi di consumo hic et nunc del mondo digitale.
E non dobbiamo lasciare indietro la governance perché occorre immaginare una piccola media impresa più moderna e ambiziosa nel suo rapporto con il mercato dei capitali e finalizzata alla crescita sia organica sia per acquisizioni, come alcune realtà stanno dimostrando di saper fare. Per farlo occorre una sempre più netta distinzione tra ruoli di gestione e ruoli di controllo, con logiche di successione analoghe al benchmark internazionale. Solo così si svilupperà una Pmi moderna e attrattiva per un capitale umano talentuoso – i talenti vanno dove vanno gli incentivi e solo una governance moderna delle nostre Pmi incentiva le ambizioni di persone di talento e favorisce il «brain gain« (letteralmente: guadagno di cervelli).
Si dice spesso che sono i periodi di complessità che favoriscono le innovazioni, perché sono le condizioni difficili che creano asimmetrie e opportunità di mercato. Mettiamo a questo servizio la proverbiale inventiva e capacità imprenditoriale italiana per coglierle senza farci sopraffare dal mare in tempesta e per rendere orgogliose le generazioni imprenditoriali del futuro così come noi siamo orgogliosi di quelle che ci hanno portato fino a qui.
(Gianmario Verona è Rettore dell’Università Bocconi di Milano)
Fonte: Corriere Economia
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