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La linea della Bce non cambia: l’aumento dei tassi di interesse va avanti (almeno) fino all’estate

Ancora nei primi mesi dell’anno, nella Banca centrale europea era diffusa l’aspettativa che i tassi sarebbero aumentati di nuovo in maggio e giugno. Ma lo avrebbero fatto più lentamente rispetto ai rialzi a tappe forzate dell’autunno e dell’inverno, per poi fermarsi. Questo almeno è lo scenario che molti dentro e attorno alla Bce consideravano probabile. Non più: ora un percorso del genere, secondo la maggioranza nel Consiglio direttivo di Francoforte, non porta abbastanza lontano e non garantisce di sradicare l’inflazione dall’area euro abbastanza in fretta.

Quando domani presenterà le decisioni del Consiglio direttivo a Francoforte, Christine Lagarde probabilmente darà dunque almeno due messaggi. Il primo sarà molto tangibile: riguarda un nuovo aumento dei tassi d’interesse che, salvo improbabili sorprese, verrà deciso questa settimana e potrebbe essere di 0,25% o anche di 0,50%. Ma il secondo messaggio della presidente della Bce sarà seguito con anche più attenzione. Di fronte a un’inflazione che scende in modo più esitante di quanto molti avessero immaginato, Lagarde farà capire che nella Bce oggi si pensa di continuare ad alzare i tassi anche dopo gli aumenti di questa settimana e del mese prossimo. Difficile che ci siano annunci anticipati. Lagarde non si legherà le mani sulle prossime tappe della stretta monetaria, come fece alla fine dell’anno scorso per le sue mosse fino a marzo. Le indicazioni della presidente saranno più vaghe, ma le attuali intenzioni sono chiare: nella Bce molti vogliono far proseguire la stretta almeno fino all’estate inoltrata; prima dell’autunno prossimo le banche potrebbero pagare interessi di oltre il 4% (contro il 3,5% attuale) per rifinanziarsi allo sportello principale dell’istituto di emissione. È dal luglio del 2008, alla vigilia della Grande crisi finanziaria, che la banca centrale non pratica quel livello.

 

Ma il contrasto all’inflazione non prenderà solo la forma classica di una serie continuata di aumenti dei tassi. In giugno la Bce potrebbe decidere di rallentare ancora di più i riacquisti dei titoli di Stato comprati fra il 2015 e il 2019, man mano che questi scadono e vengono rimborsati. Per ora la banca centrale sta riducendo di 15 miliardi al mese il suo portafoglio di investimenti accumulati a ritmi anche di 80 miliardi al mese quando Mario Draghi era presidente. L’operazione sta procedendo senza sbalzi e lo spread sui titoli a dieci anni fra Germania e Italia, l’anello più debole della catena dell’euro, è persino sceso negli ultimi sei mesi di stretta monetaria e liquidazione degli investimenti della Bce. Ma tra non molto potrebbe accelerare il passo al quale la banca centrale riduce l’eredità del «quantitative easing» dal suo bilancio. Alcuni esponenti del Consiglio direttivo vorrebbero cessare del tutto i riacquisti, alla scadenza, della carta comprata fino al 2019. C’è chi pensa a fare lo stesso nel 2024 con 1.850 miliardi di interventi varati durante la pandemia.

In sostanza, sono sempre più lontani i tempi nei quali l’Italia poteva contare sul sostegno massiccio della Bce in modo da assicurarsi domanda per suo debito pubblico. Oggi a Francoforte prevale l’idea che il nemico da battere è l’inflazione, con la massima determinazione. E se ciò dovesse aprire problemi di stabilità finanziaria, su alcuni titoli di Stato o nel settore privato, nella banca centrale oggi non si pensa di fermarsi per questo. La Bce crede di poter sempre gestire le emergenze garantendo liquidità ai soggetti che finiscono sotto pressione. Ma i tassi ora devono salire.

Gli ultimi mesi hanno dimostrato che questo per l’Italia non è un percorso impossibile, a una condizione: che i tassi della Bce non restino elevati a lungo. Interessi medi attorno al 4% offerti su titoli di Roma da vendere per il resto del 2023 e per tutto il 2024 squilibrerebbero i conti dello Stato. Anche per questo è importante che l’inflazione inizi a scendere, perché la Bce possa tornare presto a ridurre i tassi. E ieri il carovita in area euro al netto di energia e alimentari — il valore che Francoforte guarda di più — ha accennato il suo primo, minuscolo calo al 5,6%. Ma poiché gli obiettivi sono ancora lontani, la partita resta più aperta che mai.

 

(Fonte: Il Sole 24 Ore)

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