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Piccoli capitali crescono: le startup italiane hanno raccolto 8 miliardi in 10 anni

Il venture capital italiano ha superato la fase di startup. Sono passati oltre dieci anni dal primo Startup Act che ha segnato la nascita del mercato nazionale. Da allora le giovani imprese italiane hanno raccolto circa 8 miliardi, il 644% in più del decennio precedente. Con la maturità, però, è arrivato anche il primo momento di difficoltà. A causarlo è stato soprattutto il repentino aumento dei tassi d’interesse che, facendo salire i rendimenti dei titoli di Stato — liquidi e a rischio (quasi) zero — ha reso meno appetibili gli investimenti a lungo termine e «pazienti» come il venture capital.

L’inverno dei capitali

L’anno scorso, in un mercato che a livello globale si è contratto del 38% a 263 miliardi, i capitali immessi nelle startup italiane si sono più che dimezzati (-55%): siamo davvero entrati nell’inverno del venture capital? Andrea Di Camillo, fondatore e managing partner di P101, invita ad allargare l’inquadratura per cogliere la traiettoria complessiva. «Quando abbiamo iniziato a raccogliere il nostro primo fondo nel 2013, il venture capital era considerato un’attività esotica in Italia e le startup nazionali rastrellavano in totale poco più di 100 milioni, perlopiù da familiari e amici», ricorda. «Un decennio più tardi, nonostante il freno dei tassi di interesse elevati, l’ammontare raccolto nel Paese ha superato gli 1,1 miliardi nel 2023», aggiunge. «Nel frattempo, è nato un nuovo ecosistema fatto di startup, operatori specializzati, investitori italiani ed esteri». La rimonta

 

 

Il ritardo di Francia e Germania

Certo, le dimensioni di altri mercati restano lontane: benché sia aumentato di 25 volte e a un ritmo doppio rispetto alla media europea, il valore complessivo delle startup italiane nel 2023 si è attestato a 67 miliardi, equivalente a quello della Spagna nel 2020, della Francia nel 2016 e della Germania nel 2015. I numeri analizzati da P101 descrivono però una traiettoria ascendente che sembra preludere a una rimonta. In 10 anni il venture capital italiano ha infatti complessivamente investito circa 8 miliardi di euro (+644%) a beneficio di 2.983 giovani imprese, la cui valutazione media ha superato l’anno scorso i 22 milioni.

L’andamento dei fondi

Di pari passo con le startup, peraltro, si sta sviluppando anche il sistema di investitori che ruota loro intorno. Negli ultimi cinque anni i venture capital hanno raccolto in Italia 3,6 miliardi. È vero, si tratta di una percentuale modesta rispetto al totale europeo di 109 miliardi. Ma, di nuovo, ci sono segnali di recupero: mentre la raccolta dei gestori continentali ha registrato un calo del 32% nel 2023, quella degli italiani è andata in controtendenza, con una crescita (+88% anno su anno) che lascia ben sperare per il futuro. In tal senso depone anche l’incremento costante nel numero di nuovi fondi (da tre nel 2019 a 11 nel 2023), nonché l’aumento delle loro dimensioni medie (+71% l’anno scorso),che consentiranno tagli di investimento superiori nelle singole operazioni. «Noi siamo partiti con un primo fondo da 70 milioni e recentemente ne abbiamo raccolto uno da quasi 200 milioni che puntiamo a portare a 250 e che andremo a impiegare nei prossimi 6-7 anni», spiega Di Camillo. «A sottoscriverlo sono investitori sia del primo giro sia nuovi: il venture capital ha dimostrato di saper dare ottimi rendimenti, nonché un contributo rilevante all’economia reale».


 

L’occupazione nelle startup

Le metriche finanziarie non devono infatti indurre a trascurare i fondamentali su cui si misura la tenuta di un’azienda e il suo contributo al sistema economico. Lo scoppio della bolla dotcom nel 2000 e altri spettacolari crac più recenti (WeWork) hanno insegnato che farsi trascinare dall’euforia delle valutazioni, trascurando i bilanci, è molto pericoloso. «Le 52 società in cui P101 ha finora investito hanno generato circa 1,7 miliardi di euro di fatturato nel 2023 – 5 miliardi nel decennio – impiegando oltre 5.000 persone», sottolinea Di Camillo. Nel complesso, oggi in Italia si contano oltre 13.000 startup che, insieme a circa 2.000 Pmi innovative, hanno generato l’anno scorso un valore della produzione di oltre 9,3 miliardi, dando lavoro a circa 62 mila persone.

La ricetta per l’Italia

Secondo una ricerca dell’Ocse, peraltro, alle startup è riconducibile metà dei nuovi posti di lavoro creati nelle economie avanzate: sono loro, insomma, il motore della crescita e della capacità di innovare, quanto mai strategica nell’era dell’AI e della transizione energetica. D’altra parte, OpenAI, artefice di ChatGpt e Sora, è stata sino a poco tempo fa una startup, come già prima di lei Amazon, Facebook e altri colossi del digitale. Non v’è però ragione per cui il romanzo delle startup debba esser sempre americano. «L’Italia ha tutto per eccellere: le università, gli imprenditori e un mercato dei capitali in crescita», conclude Di Camillo. «Ora bisogna soltanto dare continuità culturale, finanziaria e politica: le startup di oggi sono le grandi imprese di domani».

 

(Fonte: Corriere Economia)

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